lunedì 13 gennaio 2014

Roba da femmine

Come al solito avevo in mente un post e mi ritrovo a scriverne un altro, ispirata da quello di ricciocorno (leggetelo!). Conoscete la favola della Signora Topo ed i piedini sporchi? No? Ve la racconto io. In una casetta piccina picciò, vive tranquilla la Signora Topo. Oh cielo, tranquilla è dire troppo, infatti la topolina lavora come una schiava tutto il giorno per lustrare il suo pavimento come uno specchio, perché se c'è una cosa che non sopporta è averlo inzaccherato di impronte di piedi sporchi. Un giorno, dopo che ha finito le pulizie passa da lei il vecchio Signor Rospo che si autoinvita ad entrare, sperando di poter restare a cena e papparsi il miele che la Signora Topo conserva gelosamente nella dispensa, dove non si sa bene perché, vive anche un'ape (motivo per cui non amavo particolarmente questa storia da piccola). Il Signor Rospo che non è certo un campione di galateo oltre a insudiciare con le sue zampacce tutto il pavimento, si dirige senza tante cerimonie verso il miele della povera vicina. Segue una lotta furibonda con l'ape e un triste squittìo della Signora Topo che si rammarica di non riuscire ad avere il pavimento di casa sua pulito.
La storia si interrompe qui e noi non sappiamo se il Signor Rospo si sia quantomeno scusato per il macello che ha combinato in casa altrui, può essere che l'abbia fatto e si sia fatto avanti per aiutare a ripulire, come può darsi che si sia infastidito per lo sconforto della Signora Topo. In fondo cosa ci vuole a pulire un pavimento? Se può farlo una donna, può farlo chiunque, non deve poi essere tanto difficile. Non ci vuole intelligenza per passare la cera, non ci vuole alcun tipo di abilità, è alla portata di tutti, per questo lo fanno le donne, perché sono così stupide da essere relegate ai compiti più irrilevanti, talmente elementari che guai a loro se si aspettano riconoscimento e, orrore, rispetto per ciò che fanno.
Ricciocorno, nel post citato prima, fa notare che non importa che cosa una donna faccia, che sia il medico, la sarta, l'insegnante o la casalinga. Quando la maggioranza degli esperti nel settore è di sesso femminile, quel lavoro, qualunque esso sia, viene sminuito e poco considerato, malpagato, bistrattato. L'esempio più lampante e più citato è quello dell'insegnante, meglio se insegnante della scuola materna che, quand'anche oggi venga richiesta una preparazione migliore (una laurea) dei limitanti quattro anni di magistrale, rimane una professione con pochissimo prestigio sociale, sottopagata, non considerata, considerata "facile" e possibile per chiunque, soprattutto per le donne, dotate "naturalmente" dell'istinto materno che permette loro di amare tutti i pargoli del mondo e badare che facciano correttamente pupù e pipì e non si ammazzino nell'arco della giornata. Come pagare un gatto per miagolare, in fin dei conti e si lamentano pure, 'ste streghe. Insomma, è opinione comune che la maestra sia una sorta di mamma bis che non debba saper fare nulla che non sia già forgiato nel suo codice genetico e dunque non sia di troppo impegno per le sue esigue cellule grigie. Ancora peggio va ai lavori come hostess, cameriera, infermiera. Lavori considerati tipicamente femminili e dunque di una semplicità e banalità sconcertante. Le hostess e le infermiere vengono ancora viste come delle specie di geishe del dottore o pilota di turno (rigorosamente maschio). Per questo capita anche che qualora non siano sufficientemente "gnocche" c'è pure chi se ne lamenta, della serie dal momento che non devono fare nulla, siano almeno una gioia per gli occhi (maschili, si intende) e ed è così che alle hostess viene imposta la taglia 40/42 (solo alle donne, ovviamente, perché si sa che l'omo de panza è omo de sostanza, mente "la donna de panza" è solamente una grassona) al di sotto e soprattutto al di sopra della quale è vietato andare, pena il licenziamento. Su questa vicenda spenderei altre due paroline, perché merita, infatti c'è chi ha difeso l'iniziativa (vecchia ormai di due anni, ma ancora tristemente attuale) perché Che comunque le hostess non debbano essere troppo "abbondanti" lo capisci, dato lo stretto spazio del corridoio tra i sedili. Insomma, le hostess (gli steward in qualche modo passano comunque) e in generale le donne di taglia 46 sono delle malate incapaci di muoversi, rimarrebbero incastrate tra i sedili (per caso neanche i passeggeri devono portare più della 42?) e passerebbero la durata del volo a mangiare salatini non lasciandone nessuno per i passeggeri (perché sono ciccione e come tali ingorde). Insomma, Ricciocorno nel suo post mostra bene come tutto quello che viene tradizionalmente fatto dalle donne sia per definizione (più) facile e poco importante, siano lavori o hobbies (lavorare a maglia è più facile di piallare un legno, il nuoto sincronizzato lo è più del rugby, la letteratura uno scherzo in confronto alla matematica). Io vorrei riflettere su come questo discorso valga, ahimè, non solo per i lavori, ma anche per le virtù e le qualità. Scrive Elena Giannini Belotti, l'identità maschile prevede la totale espulsione del femminile da sé, con una perdita drammatica di "virtù sociali" che dovrebbero semplicemente essere umane: l'attenzione e la sensibilità verso il prossimo, l'empatia e la capacià di identificarsi nell'altro, saper ascoltare, consolare, accudire, curare. Non a caso il 70% del volontariato è svolto da donne. Insomma, bella la bambina che cura l'orsacchiotto, che si preoccupa del compagnetto caduto dall'altalena, che regala la gomma all'amichetta che ha perso la sua, ma vuoi mettere con il maschio che tira meglio a canestro, non piange mai e non ha paura dei film dell'orrore? Vuoi mettere il coraggio, la ribellione, l'indipendenza (indipendenza di che poi, se agli uomini non è richiesto nemmeno di essere capaci di farsi il bucato e quando, apriti cielo, la moglie si assenta da casa per una settimana in dieci anni deve lasciargli sette cene pronte e surgelate, le istruzioni per scongelarle e possibilmente i vestiti etichettati per giorno della settimana?), la forza, l'esuberanza con la pazienza, la gentilezza, la bontà d'animo, l'empatia? Queste ultime vengono considerate nella società qualità di seconda classe, bello averle sì, certo, però neanche troppo trovati un bravo ragazzo, ma non troppo, sono buono ma fino a un certo punto, perché il ragazzo "troppo buono" per dirne una, fa la figura dello scemo (e poi si sa che alle donne piace lo stronzo) e il ragazzo deve essere furbo, sveglio, sperto (la donna invece può essere stupida finché vuole anzi spesso la presunta bontà delle grandi icone femminili sfocia nella più totale scervellatezza), deve fregare, infinocchiare, ingannare. Deve fingersi amico di una ragazza per portarsela a letto ad esempio, o fingersi gay (vedi Kick-Ass e un altro film poco celebre il cui titolo mi sfugge). Come amico, poi, deve fingere di saper ascoltare, fingere di interessarsi ai problemi della ragazza da conquistare. Sia mai che gli interessino davvero! Sia mai che un ragazzo, un uomo possa volere davvero prestare attenzione ai problemi di un'altra persona, portare il suo peso con lei, esserle di conforto, cercare di capirla, provare ad aiutarla (sia o non sia innamorato di lei). Avete un amico che fa così con voi, signore? Mi dispiace sta fingendo, poco importa che sia vostro amico da una vita, magari già felicemente fidanzato o sposato, vuole portarvi a letto, si sorbisce tutto quello che dite sperando nella ricompensa finale, come la capra che insegue la carota. Oppure è gay.
L'empatia in un uomo ed anche in un bambino è segno di debolezza, la dolcezza pure. Non sono virtù, sono mezze virtù, sono "roba da femmine", per un maschio sono degradanti.
E' qui che nasce il tutto, così un bambino viene privato della sua libera infanzia. Mentre una bambina, con cautela ed entro certi limiti, può sviluppare la parte "maschile" di sé essere e fare ciò che un tempo era considerato da maschio venendo meno rimproverata e ostracizzata che in passato (anche se magari più subdolamente spinta verso la retta via, dopo una sbandata momentanea), un bambino semplicemente non può, e come lo si dissuade dall'intraprendere attività e provare sentimenti tipicamente da femmina? Gli si insegna a disprezzare il femminile. Perché vuoi essere come una donna, se puoi essere un uomo? Perché vuoi giocare a fare lo schiavo se sei nato principe? In fondo non ti perdi nulla, garantito, giovane uomo, la roba da femmine è stupida, è banale, è superficiale, è degradante. Va bene per loro, per le donne, perché non possono avere di meglio, perché non sono in grado di fare altro, ma per te è destinato molto di più. Un uomo che sviluppa il suo "lato femminile" spreca i suoi talenti, è disdicevole e disonorevole. Gli abbracci e i baci sono "roba da femmine", non darne e non chiederne, piccolo maschio (ma se per caso te ne scappa uno, che sia a una bambina, così diremo tutti che già "pensi a quelle cose", che sei un "dritto", che hai "capito tutto", per mascherare che volevi solo dimostrare un po' di affetto). Perché vuoi giocare con le bambole? Sono brutte, noiose, sono "roba da femmine", guarda quanti bei giochi puoi avere, macchine, trenini, Gormiti, pistole, lego, più grandi, più belli, più costosi, migliori.
Questa è la parola magica, migliore. Essere maschi è migliore che essere femmine. Nessun maschio vuole essere una femmina, neanche le femmine vogliono essere femmine, essere maschi è una fortuna, sarà la tua fortuna, non sprecarla in roba da femmine. Sei nato dalla parte giusta del mondo. Potrai avere quello che vuoi, una famiglia ed una buona professione, potrai fare sesso con chi vorrai quando vorrai, potrai vestirti come vorrai, avere il corpo che vorrai, sarai rispettato, sarai creduto. Potrai avere tutto questo e molto di più.
In cambio, da una sola cosa stai sempre lontano.
La roba da femmine.

lunedì 6 gennaio 2014

Philomena, cosa pensi della religione?

Io in realtà non sono così cinefila come potrebbe sembrare e questo non è nemmeno un film per bambini, ma mi ha colpito così tanto che non posso fare a meno di scrivere due righe a riguardo. Il film è tratto da una storia vera. Nell'Irlanda degli anni '50 un convento di Suore cattoliche ospita diverse ragazze madri, lì abbandonate dalle famiglie imbarazzate dalle loro gravidanze. Le Suore trattano le ragazze molto duramente, considerandole peccatrici, impure e costringendole a lavorare duramente per ripagare i loro debiti con il convento (il vitto, l'alloggio, l'asistenza medica). Alle madri viene permesso di vedere i loro figli solo per un'ora al giorno. Come se non bastasse le Suore gestiscono un commercio di minori, i bambini delle ragazze sono vendute ad agiate coppie americane e le madri naturali costrette a firmare un contratto che le priva di ogni diritto nei confronti del figlio, anche di quello di cercarlo e tentare di ottenre in qualsiasi modo informazioni su di lui. La nostra storia comincia cinquant'anni dopo, quando un'arzilla signora irlandese viene messa in contatto con un giornalista, ex-dipendente della BBC, alla ricerca di una "storia di vita vissuta" per ritrovare il figlio venduto quando era giovane, la donna si chiama Philomena. Il viaggio porterà i due compagni fino in America e diversi imprevisti che non sto qui a raccontare per non rovinarvi il film faranno scontrare le loro diverse personalità. Philomena è per molti versi l'archetipo della dolce vecchina della porta accanto, la nonna per antonomasia, l'anziana signora che inizia a raccontarti la sua vita sull'autobus. Ringrazia continuamente chiunque le faccia la più piccola gentilezza, si ferma a parlare con i dipendenti dell'albergo dove alloggia e chiede loro delle loro famiglie, dei loro paesi, infastidisce il giornalista con interminabili riassunti dei libri che sta leggendo (dei simil harmony infarciti di ragazze svenevoli, cavalli e zuccherosi lieti fine). Soprattutto, nonostante tutto quello che ha dovuto sopportare dalla Chiesa e nonostante avrebbe tutto il diritto di essere arrabbiata, Philomena non vuole vendicarsi del convento, lei cerca solo suo figlio.
Ho letto da qualche parte che il modo migliore per avere una società di atei è dare loro una rigida educazione religiosa da bambini, eppure Philomena che della Chiesa ha conosciuto forse il bene ma soprattutto il male è ancora fortemente cattolica, trova conforto nella religione e pur mettendo in dubbio molti dei suoi principi (la demonizzazione del sesso pre matrimoniale e del piacere sessuale, l'omosessualità come peccato) non arriva mai a dubitare dell'esistenza di Dio. Lei crede. Diverso è il discorso per il giornalista Martin, anche lui irlandese, anche lui figlio di un'educazione cattolica (dice di essere stato un chierichetto). Martin è un ateo convinto, arrabbiato con la Chiesa e fortemente convinto dell'inutilità/nocività delle religioni, è inorridito da quanto accaduto a Philomena e non riesce a concepire come la donna sembri quasi giustificare ciò che le è stato fatto e non sia capace neanche di ipotizzare che le Suore le stiano mentendo o raggirando per non darle informazioni sul figlio. La giudica una stupida, una pazza. In effetti è veramente difficile non rimanere interdetti davanti al candore ed all'ingenuità della donna. Vi avverto, qualcuno potrà anche essere infastidito da questa ingenuità e, come lo stesso Martin, potrà sperare che Philomena si arrabbi, si incavoli, gridi "vaffanculo" ad una Suora, ma vi avverto (e questo è uno spoiler) non succederà.
Eppure Philomena riconosce il male che le è stato fatto. Lei capisce, durante il film, di essere stata raggirata, ingannata, ferita, che la Suora che cinquant'anni prima aveva venduto suo figlio agli americani ha commesso una colpa. Una Suora, Suor Hildegard, che al tempo del film esiste ancora, vecchia, dura, col cuore freddo ed indurito come da giovane, che non sembra e probabilmente non ha nulla della carità cristiana, mentre Philomena sì, infatti, alla fine del film, decide di perdonarla.
Molti spettatori probabilmente saranno infastiditi dal fatto che la Suora responsabile di tanto dolore ed il convento la "facciano franca", ma io ho ammirato tantissimo il personaggio di Philomena, il suo candore ed anche il suo perdono. La religiosità di Philomena è la vera religione cristiana cattolica? Non lo so, non spetta a me dirlo, quello che penso è che sicuramente è una religione più umana. Una religione che è fede, che è uno strumento di conforto per sé stessi, non un'arma da usare contro gli altri. Una religione che conforta, aiuta e non va combattuta perché non vuole guerreggiare e non fa male a nessuno.
Sapete, è un personaggio, quello della cattolica devota ma non oscurantista che raramente viene rappresentato e quanto succede viene accusato di non essere "abbastanza", o "troppo", o "troppo poco" da entrambi i "fronti" di questa battaglia infinita tra atei e cristiani, tra UAAR e Vaticano, che credo Philomena Lee semplicemente non combatterebbe perché la religione non è un'arma da guerra, o almeno non dovrebbe, forse quando lo diventa non è più religione. Forse quando il cattolicesimo (come qualunque altra fede) diviene uno strumento per fare soffrire, per dividere, per ferire, per guadagnare, per colpevolizzare e svergognare come viene utilizzata da Suor Hildegard e da molte Suore del convento, che nascondono la freddezza del loro cuore in sorrisi freddi, té e dolci all'uvetta offerti a chi cerca solo risposte, forse allora diventa un'ideologia o una dittatura. Magari però se viene usato come forza per continuare a combattere (una lotta interiore per continuare a vivere e sperare, non una lotta per distruggere la libertà e la vita di qualcun altro), come speranza cui aggrapparsi come la utilizza Philomena, in quel caso quella è una religione che secondo me se non merita appoggio sicuramente merita rispetto.
E una donna come Philomena ha il mio rispetto per la forza con cui intraprende il viaggio alla ricerca del figlio (se e come lo troverà non ve lo dico, guardate il film!) e la mia riconoscenza per avermi ricordato che al mondo esiste una religiosità diversa da quella di Aleteia, LaNuovaBussolaQuotidiana, RadioVaticana e CostanzaMiriano. Mi piacerebbe venisse rappresentata di più.