giovedì 24 ottobre 2013

Non te lo meriti

Modena. Sedicenne violentata ad una festa. Da cinque compagni. Denunciati.
Sedicenne. Violentata. Ad una festa.
Da cinque ragazzi.
Li ha denunciati.

Io non ti conosco. Non so il tuo nome. Non ti ho mai vista. Non so chi sei. Sono un'adolescente come te. Mi piacciono i colori sgargianti, i film Disney ed uscire con i miei amici. Odio i trattati sull'adolescenza etichettata come l'età di merda quasi quanto quelli sugli adolescenti dipinti come una massa amorfa di esseri non troppo pensanti, generazione di merda, senza valori, senza interessi. Detesto chi piange i "bei tempi andati" dove "questi orrori non esistevano" e le persone avevano rispetto e non c'erano gli stupri e i ragazzini erano beneducati e facevano posto alle signore anziane in tram. Vorrei dire loro che questi bei tempi andati non se ne sono "andati" da nessuna parte, ma non sono proprio mai arrivati. Tu sei andata ad una festa, come milioni di ragazzi ogni sera vanno ad una festa, mi ci metto anche io. Lui ci va per divertirsi, lei per ballare, uno per sballarsi, un'altra perché non aveva nulla di meglio da fare, un terzo non vedeva l'ora, una quarta perché di quel locale le ne hanno parlato bene. Un'altra ancora perché le hanno detto che ci sarà il ragazzo che le piace, o la ragazza, chissà. Io non so perché tu sia andata a quella festa, quella sera, perché non ti conosco. Ma ti prego di credermi, ti prego di fidarti di me e di non dubitare quando ti dico che del perché e del percome ci sei andata, di quanto hai bevuto, di cosa indossavi, di come ti sei truccata, di quanto erano alti i tuoi tacchi (se avevi i tacchi) o corta la gonna (se non hai preferito i pantaloni), di tutto questo tu non devi rendere conto a nessuno. Non sei tu a dovere dare spiegazioni, non è compito tuo. Non devi giustificarti e chi te lo chiede non ne ha alcun diritto. Sai perchè non ne hanno diritto? Io lo so che lo sai, perché conosco il tuo coraggio. So, una delle poche cose che so di te, che hai avuto la forza di denunciare e poi ancora di tornare a scuola e l'hai fatto perché sai quello che sto per dirti: che la colpa non è tua. Quello che ti è successo è vergognoso, ma non sei tu che devi portare il peso di questa vergogna. Ricordalo, ricordalo sempre. Prendi queste parole e rendile la tua sicurezza, il pilastro sul quale poggiare le tue convinzioni e non dimenticarle mai e mai: non è colpa tua. Io non ti conosco, ma finché avrò fiato in gola e dita per scrivere ripeterò che non è colpa tua. Ogni volta che verrà insinuato il contrario io risponderò che non è colpa tua e riempirò i muri e i fogli e i siti internet e non sarò solo io ma saremo in tanti, perché credimi, fidati, siamo in tanti a pensare che non è colpa tua. Io non ti conosco. Tu non conosci me. Ma io oggi, sono qui per ricordarti che non è colpa tua, che la colpa, grave, immensa, soffocante di quello che ti è successo non è tua. E' dei tuoi carnefici. Non tua. Non devi avere vergogna, so che lo sai già, sono sicura che lo sai già, ma voglio dirtelo io che non ti conosco che non so come eri vestita o quanto hai bevuto e non mi importa perché non è importante e saperlo non cambierebbe quello che ti sto scrivendo, voglio dirti che non sei rovinata, né disonorata. Nella tua forza, nella forza della tua denuncia c'è più onore di quanto molti conosceranno mai. E tra questi molti mi ci metto anche io. Io non ti conosco e nemmeno i giornalisti che hanno parlato di te ti conoscono, né quelli della Repubblica, né quelli del Corriere, non ti conosce Concita De Gregorio, come non ti conosce Giovanardi e qualunque cosa diranno, qualunque congettura faranno su di te, sulla tua generazione, ricorda che sono solo parole, spesso sciocche, di uomini e donne che non sanno chi sei e possono solo lontanamente immaginarlo. Un'immagine offuscata da stereotipi e pregiudizi. Non possono sapere quali siano i tuoi sogni, quello che pensi, l'opinione che hanno di te i tuoi amici, i tuoi conoscenti, i tuoi genitori, i tuoi insegnanti. Forse sei una ragazza che ama leggere o magari preferisci fare attività fisica. Forse sei una ragazza studiosa o magari non ti piace la scuola. Puoi essere una ragazza a cui piace guardare i tutorial di make-up su youtube e passare le ore a sperimentare nuovi trucchi o non sapere nemmeno che cosa sia un blush. Magari sei un'appassionata di splatter o magari di film romantici, o di tutti e due, o di nessuno dei due. Forse metti le minigonne, forse non le metti, forse qualche volta le metti e qualche volta no, forse non le hai mai messe, ma pensavi di comprarne una. Può piacerti l'alcol o non piacerti o puoi essere una di quelle che beve solo Crema colada e Caipiroska alla fragola. In ogni caso, chiunque tu sia, qualunque cosa tu voglia una cosa è certa non te lo meriti. Qualunque cosa indossassi, qualunque cosa avesi bevuto, tu non te lo sei meritato, quella sera, l'orrore che ti è stato inflitto e non ti meriti tutto questo, né le paternali dei giornalisti, né le accuse dei commentatori. Allora, ti prego, per quanto possa essere difficile, per quanto possa essere dura in mezzo a tutta questa ignoranza, a questa indecenza, tu non vergognarti di te stessa, mai, non per questo, e ricordarti, cerca di ricordare che da qualche parte c'è una ragazza che ti stima. Anche se non ti conosce.
Io.
Coraggio.



martedì 22 ottobre 2013

Enrichetto dal ciuffetto, ovvero sulla bruttezza

Come ho già mezionato le fiabe mi piacciono molto e sono un'accanita sostenitrice della favola della buonanotte (ma anche del buongiorno e non escludo del buonpomeriggio) con cui io e mia sorella siamo state cresciute (quindi sì, in questo come in molti altri post sono sfacciatamente di parte). In uno dei libri di fiabe più grossi che possiedo si trova anche la storia di Enrichetto dal ciuffetto scritta da Perrault, uno dei più celebri rivisitatori della fiaba Cenerentola (è alla sua versione che la Disney si è ispirata per la creazione dell'omonimo film). Che cosa succede al nostro Enrichetto? Ecco un piccolo riassunto.
Un giorno una donna partorisce un figlio talmente brutto da rimanerne sconvolta. Per lenire il suo dolore una fata che passava di lì le promette che il figlio resterà sì brutto come il peccato, ma avrà, in compenso, un'intelligenza sorprendentemente acuta ed un'invidiabile potenza di spirito. Non solo, il bambino sarà anche in grado di rendere ugualmente intelligente la persona che amerà. La madre si rassegna e chiama il figlio Enrichetto dal ciuffetto, poiché ha in testa un solo ciuffo di capelli. Poco tempo dopo, dall'altra parte del regno, la Regina diventa mamma di due bambine: una decisamente bruttarella e l'altra di una bellezza sorprendente. La madre si rallegra tanto per l'aspetto della figliola che la fata di cui sopra, sempre nei paraggi, indispettita per la superficialità della donna decide di punirla maledicendo la figlia: ella sarà sì dotata di un incredibile fascino, ma sarà anche talmente sciocca e priva di cervello da imbarazzare qualsiasi interlocutore. La Regina si addolora molto per la sorte della bambina, al punto di arrivare alle lacrime. La fata decide allora, magnanima, di compensare la stupidità della Principessina con un dono, ella sarà in grado di rendere di una bellezza pari alla sua colui che amerà. Passano gli anni, le due Principesse crescono e mentre la primogenita diviene ogni giorno più bella, la secondogenita imbruttisce sempre di più tanto che, al debutto delle giovani in società, alla poveretta si crea il vuoto attorno e tutti i ragazzi si avvicinano alla sorella, stupefatti da tanta beltà. Beltà o no, tutti si accorgono presto che la fanciulla è talmente stupida da non riuscire a sostenere nemmeno la più semplice delle conversazioni, mentre la sorella è invece acuta e piena di spirito, cosa che la rende, una volta accertata la dabbenagine della maggiore, estremamente popolare. Ora, la Principessa bella e stupida soffre molto per la sua pochezza di cervello, non è certo sua la colpa di essere nata con una così esigua quantità di materia grigia e per questo motivo diviene triste e apatica, preferendo all'allegria della corte, malinconiche passeggiate per il bosco. Proprio tra gli alberi, un giorno, incontra Enrichetto, o meglio è Enrichetto che incontra lei. Dicevamo, Enrichetto è cresciuto anche lui ed è rimasto brutto come il giorno della sua nascita. Brutto sì, ma dotato, ricorderete, di un'intelligenza e di un'eloquenza da fare invidia a Cicerone. Nel bosco, appunto, Enrichetto sente dei singhiozzi e scorge una figura, è una fanciulla che, mentre piange, si lamenta della sua sorte vicino ad uno stagno. Il nostro eroe rimane talmente incantato dall'aspetto della fanciulla da innamorarsene perdutamente, figuriamoci poi quando viene a sapere che quella affascinante donzella è pure una Principessa. Subito le si avvicina e si informa del motivo di tanta tristezza e la stupidotta non si trattiene dallo sciorinare ad un perfetto sconosciuto il suo triste destino: essere bella ma completamente sciocca. Enrichetto però sorride e propone alla Principessa una soluzione perfetta al problema
"Se non è che questo che vi tormenta, o signora, io posso facilmente metter fine alla vostra afflizione."
"E come fare?", disse la Principessa,
"Io ho il potere", disse Enrichetto dal ciuffetto, "di infondere l'intelligenza in quella persona che amerò sopra le altre; e siccome voi siete quella, dipende dunque da voi. Potrete possedere tanta intelligenza, quanto se ne può avere, solo che siate contenta di sposarmi."
La bella Principessa di questo eloquentissimo discorso non ci ha capito poi un granché, ma è disposta a tutto per ottenere un minimo di sale in zucca così acconsente alla proposta di Enrichetto. Non ha nemmeno finito di proncunciare la frase che subito, la futura moglie di Enrichetto si sente diversa, quasi rinata e scopre di possedere un'eloquenza ed un raziocinio tale da far impallidire lo stesso Platone. E' talmente intelligente che suo padre non esita ad interpellarla quando i Ministri del Regno discutono degli affari di Stato. Arriva dunque il giorno delle nozze, la Principessa mantiene fede alla promessa fatta e sposa Enrichetto ed allora accade l'impensabile.
Subito Enrichetto dal ciuffetto apparve ai suoi occhi il più bell'uomo della terra, e il meglio formato, e il più amabile di quanti se ne fossero mai veduti.
Vogliono alcuni che questo cambiamento avvenisse non già per gl'incanti della fata, ma unicamente per merito dell'amore. E dicono che la Principessa, avendo ripensato meglio alla costanza del suo cuore e della sua mente, non vide più le deformità personali di lui, né la bruttezza del suo viso: talché il gobbo che egli aveva di dietro, le sembrò quella specie di rotondità e di floridezza d'aspetto di chi dà nell'ingrassare: e invece di vederlo zoppicare orribilmente, come aveva fatto fino allora, le parve che avesse un'andatura aggraziata e un po' buttata su una parte, che le piaceva moltissimo. Fu detto fra le altre cose, che gli occhi di lui, che erano guerci, le parvero più brillanti; e che finisse col mettersi in testa che quel modo storto di guardare fosse il segno di un violento accesso di amore: e che perfino il naso di lui, grosso e rosso come un peperone, accennasse a qualche cosa di serio e di marziale.
Così finisce la fiaba di Perrault. Enrichetto, lo avrete capito, è ancora brutto come prima, ma questa bruttezza la sua sposa non la vede, o meglio, non le interessa, non ci fa caso, non la sconvolge. L'amore che prova per lui rende i difetti del suo fisico dei vezzi. Non le importa che suo marito sia brutto, e nella sua bruttezza lei ci trova del bello.
Io credo che questa fiaba sia incredibilmente profonda e mi ha portato ad una riflessione sulla bellezza che vorrei condividere con voi. Siamo fissati con la bellezza. Non noi donne, non noi uomini, non noi occidentali, noi tutti e lo siamo da sempre, non da vent'anni, non da cinquanta, ma dall'inizio dei tempi. Non importa che l'idea di bellezza di 500 anni fa sia totalmente diversa dall'idea di bellezza che abbiamo oggi. Si tratta sempe di bellezza, sono sempre canoni, cambiano certo, ma li abbiamo sempre avuti. Hanno riguardato in primo luogo le donne, anche gli uomini, ma soprattutto le donne. Abbiamo celebrato la bellezza e parlato di amore (amore inteso come eros, non come filia) per donne belle. Begli occhi, capelli lucenti, carnagione splendente, denti di perla, mani di seta... Oggi i canoni della bellezza femminile prevedono un corpo abbastanza alto, molto magro, con un seno prosperoso, le gambe lunghe, la pancia piatta, le labbra carnose, il naso piccolo e il più possibile glabro (i peli che ormai non sono considerati superflui si riducono ai capelli, alle ciglia e a una sottile striscia di sopracciglia). Non voglio essere io a decidere se questi canoni siano giusti o sbagliati. Io credo che siano sbagliati, credo che tutti i canoni di bellezza dall'inizio del tempi ad oggi siano sbagliati, poiché irraggiungibili. Quando mi oppongo ai canoni di bellezza di questa generazione non guardo con rimpianto ai canoni di bellezza della generazione precedente, non più. Perché per una ragazza come me, che è circondata da Kate Mosse, da Angelina Jolie, da Tyra Banks e da centinaia di donne di cui non conosce neanche il nome (sulle riviste, in televisione, durante le pubblicità) a cui non assomiglierà mai e delle quali sarà sempre più brutta, che la faranno sentire a disagio, che le faranno guardare con disprezzo i chili "di troppo", il naso grosso, il seno piccolo, le cosce cellulitiche ecc... Insomma per una come me e come molte ragazze/donne di oggi, ne sono esistite di ieri che guardavano Marylin e si sentivano circondate da Marylin, da lei e dalle pin up anni 50 dalle labbra rosse e le forme prosperose e poi guardavano le loro ginocchia nodose, le braccia sottili, il seno inesistente, le spalle strette e si sentivano esattamente come mi sento io, come mi sono sentita io. I canoni cambiano, il disagio no. Il disagio di una donna (e in misura minore di un uomo) che da quando nasce ha come imperativo uno su tutti: essere bella. Perché se non sei bella non sarai amata, non sarai voluta, ti disprezzeranno, ti disprezzeranno come lavoratrice, anche sel tuo lavoro non c'entra nulla con la bellezza, ti disprezzeranno come persona e sarai considerata automaticamente pessima donna, pessima amante, pessima moglie, pessima madre, pessima tutto. Ti riterranno incapace, incapace di avere una vita sentimentale e, meno che mai, sessuale soddisfacente, magari più che soddisfacente, magari addirittura ottima. Incapace di essere un'esteta, di apprezzare la bellezza nell'architettura, nell'arte, nella poesia, nella cucina, nella moda. Indegna di prendersi cura del proprio corpo, di coccolarlo, di viziarlo, di toccarlo, di gratificarsi con un vestito grazioso e un po' sexy che sì, noi addosso ci vediamo bene. Indegna di esistere come persona e non come l'amicabrutta. Ci insegnano questo e noi ce lo dobbiamo togliere dalla testa.
Io penso ciò:
Esistono persone intonate ed esistono persone stonate. Allo stesso modo, esistono persone belle ed esistono persone brutte. E' così. Il concetto di bellezza cambia, non è fisso ed immutabile, quelle che oggi sono considerate persone brutte tra 10, 50, 500 anni potranno essere prese come modello di beltà, o magari no. Poi certo, come io posso considerare intonata una persona la cui voce per un altro è insopportabile, io posso considerare bella una persona che a ad un altro sembra brutta, o magari no. Magari penserò anche io che sia brutta. Sì, io credo che ci siano delle donne brutte, delle persone brutte è poi questo gran problema? Mi rendo conto che è difficile appoggiare il ragionamenteo che sto facendo, perché questa cosa della neccessità di essere belle ce la portiamo dietro da secoli, da troppo, tanto per pensare di poter demolirla da un giorno all'altro, però io ci voglio provare, oggi questa sera, ci voglio provare e voglio che voi leggiate, leggiate la mia testimonianza, leggiate che ci ho provato, anche se magari domani, quando sarò accerchiata da immagini di donne bellissime, mi sentirò nuovamente male, come se tutta questa elucubrazione non fosse mai esistita. Però intanto c'è stata. Dicevo, alcune donne, alcune persone, sono brutte. Sono brutte per me e per la maggiorparte della popolazione, non per tutti perché credo che poche cose al mondo siano assolute e la bellezza non sia una di quelle, ma di base sono considerate brutte, sono considerate brutte in questo periodo storico, quello in cui vivono, quello che, in fondo, è quello che conta. E' un dramma? No. No, non deve essere un dramma. Io credo fermamente che una persona possa essere brutta ed avere una vita meravigliosa. Può essere soddisfatta lavorativamente, fare un lavoro che le piace, essere brava, molto brava, la più brava, portare a casa successi, magari finire sulle prime pagine dei giornali, anche ricevere il Nobel, o il Pulitzer o l'Oscar. Può avere degli amici che amano la sua compagnia, perché una persona brutta può benissimo essere intelligente, sagace, spiritosa, fare battute esilaranti, interventi intelligenti, può fare sentire le persone a proprio agio ed essere una solida spalla su cui piangere. Una persona brutta può avere una vita sessuale attiva. Può essere incredibilmente brava a letto, può essere sensuale e disinibita, può essere eccitante. Può essere amata. Amata da un/a compagno/a, un compagno che non si è innamorato per lei della bellezza, ma per una delle sue tante altre qualità ed ora i suoi difetti fisici quasi non li vede più. Come è successo ad Enrichetto. Non tutti si innamorano del proprio partner perché è bello (io mi sono innamorata del mio ragazzo per come mi abbracciava e per come mi parlava e prima ancora mi sono innamorata di un altro per come recitava "il ritratto di Dorian Gray" e ancora prima di un altro ragazzo sempre per motivi che non c'entrano nulla con la bellezza). Sì, io sono brutta, probabilmente sono brutta, a volte credo davvero di essere brutta. Pensate pure che io sia brutta, potete pensarlo, vi autorizzo a pensarlo, non significa che non possa avere una vita piena e che non possa essere una persona piena, come può esserlo una persona stonata, scoordinata, bassa o con una gamba di legno. Perchè brutta è solo una delle milioni di cose che sono e non è la più importante. Dobbiamo smettere di pensare che lo sia. Dobbiamo smetterla di pensare che solo le donne belle possano essere amate. Non è vero. Invece di portare esempi di donne che secoli fa erano considerate belle e adesso non sono conformi ai nostri canoni di bellezza, perché non portiamo l'esempio di donne che ai loro tempi erano considerate brutte ed hanno avuto una vita avventurosa e soddisfacente, avventurosa, soddisfacente e piena d'amore? Come Jane Eyre o Jo March, per fare due esempi. Ci sono donne brutte che sono state muse ispiratrici, a cui sono state dedicate poesie d'amore!
Qui ce ne sono due esempi

Davanti a lei, tanto bella

sono cera che al fuoco si strugge.

È nera. Che importa?

Anche i carboni sono neri.

Ma accesi splendono

come bocci di rosa. 

Epigramma di Asclepiade, dedicato ad una donna dalla pelle scura (i canoni di bellezza nell'antica Grecia prevedevano per una donna pelle lattea, capelli chiari, occhi scuri, fronte ampia, seno piccolo, collo lungo, fronte alta e fianchi prosperosi). Io, liceale tormentata da frequenti mal di pancia pre-versione di greco, quando ho letto questo epigramma mi sono commossa.

Sonetto 130 di W. Shakespeare dedicato all'amata. Nonché il mio sonetto preferito del bardo ;)
My Mistres eyes are nothing like the Sunne,
Currall is farre more red,then her lips red,
If snow be white,why then her brests are dun:
If haires be wiers,black wiers grow on her head:
I haue seene roses damaskt,red and white,
But no such roses see I in her cheekes,
And in some perfumes is there more delight,
Then in the breath that from my Mistres reekes.
I loue to heare her speake,yet well I know,
That Musicke hath a farre more pleasing sound:
I graunt I neuer saw a goddesse goe,
My Mistres when shee walkes treads on the ground.
And yet by heauen I thinke my loue as rare,
As any she beli'd with false compare.

Traduzione

Nulla del sole hanno gli occhi della mia bella,
Delle sue labbra il più rosso è corallo,
Se la neve è bianca, i suoi seni sono grigi,
Se i capelli sono crini, neri crini crescono sul suo capo.

Ho visto rose screziate, bianche e rosse,
Quelle rose così, mai vedo sulle sue gote;
E in certi profumi c'è assai più delizia,
Rispetto al fiato, ch'esala la mia amante.

Adoro sentire la sua voce, ma so bene
Che la musica ha un molto più piacevole suono.
Ammetto, non ho mai visto camminare una dea,
Ma i passi della mia bella, calpestano terra.

Ma in nome del cielo, cosi raro stimo mio amore,
Come qualsiasi falsamente decantata donna.

Io avrei voluto chiedere, io vorrei chiedere a Perrault una sola cosa. Prima di tutto vorrei ringraziarlo per le sue fiabe e poi vorrei chiedergli se la storia di Enrichetto avrebbe avuto un lieto fine anche se lui fosse stato una donna e la Principessa un Principe. Ma sapete una cosa? Io credo di sì.
Sì, credo che se avrò figli, leggerò loro la fiaba di Perrault, ma probabilmente apporterò una piccola modifica. Perrault mi perdoni, ma mi piacerebbe tanto raccontare ai miei figli la storia di Enrichetta la ciuffetta :)

venerdì 18 ottobre 2013

Essere o non essere (una Pinkstinker)?

Parliamo di Pinkstinks.
Pinkstinks (letteralmente, il rosa puzza, liberamente, il rosa fa schifo) è un movimento che nasce a Londra nel 2008 ed ha fatto il giro della nazione arrivando a far parlare di sé anche nel continente. Combatte contro le discriminazioni di genere e contro l'imposizione alle bambine del modello "principessa/fatina in rosa" da parte di vestiti, cartoni animati, libri e soprattutto giocattoli. C'è chi lo guarda come un passo avanti nella lotta contro gli stereotipi, chi ne ride sprezzantemente, chi replica con la sempiterna frase "ci sono cose più importanti a cui pensare" (ultimamente di gran moda quando si mettono in tavola le carte dei diritti delle donne ed degli omosessuali) e chi è scettico. Io appartengo all'ultima categoria. Non fraintendetemi, io appoggio le campagne contro le discriminazioni di genere. Questo blog, lo avrete notato, propone immagini e figure femminili che esulano dal modello "PrincipessinaRosa" (qui, quiqui e qui) e l'intento della campagna Pinkstinks, da quello che ho capito, è sostanzialmente lo stesso, cioè offrire alle bambine dei modelli femminili forti e indipendenti, dei giocattoli che stimolano la logica, la creatività, le attività all'aperto ed opporsi alla precoce adultizzazione dell'infanzia. Bene, stupendo, sono d'accordo al 100%. Il contenuto del movimento mi piace. Sono i mezzi che non mi convincono. Questo odio conclamato ed orgoglioso per il rosa e per tutto ciò che è "principesco" io proprio non riesco ad appoggiarlo. Perché io ero una di loro. Non una Pinkstinker. Io ero una bambina a cui piaceva il rosa. Mi piaceva il rosa e mi piaceva vestirmi da fata o da principessa. Non sono mai stata un'invasata, non mi coprivo di rosa dalla testa ai piedi, la mia cameretta era verde acqua (e prima ancora semplicemente bianca) anche se, confesso, avessi avuto libera scelta probabilmente avrei insistito per il rosa, ma all'epoca condividevo la stanza con mia sorella, avevo vestiti di tutti i colori, tra i miei preferiti ce n'era uno sui toni dell'arancio e un altro tutto colorato. Avevo Barbie, peluches, palloni, il lego, il pongo, un tappetino di gommapiuma colorata con i numeri e le lettere. Ero circondata da tanti stimoli e da diversi colori e tra questi il mio preferito era il rosa. Anzi, a dire la verità era il fucsia, che è rimasto tra i miei prediletti per molto ed ancora oggi non mi dispiace (chiedetelo alla copertina del mio e-reader che, per inciso, è azzurro). Ricordo ancora, e mai la scorderò, la mia faccia da funerale quando, in prima elementare, alla recita di fine anno (Alice nel Paese delle Meraviglie) dovetti interpretare la tazzina del Tea Party del Cappellaio Matto. Il ruolo della tazzina consisteva in un balletto con le mie compagne avvolte il dei deliziosi tutù di cartapesta di diversi colori. A me ne capitò uno color rosa salmone e una delle mie amichette ebbe in sorte quello fucsia. Vi lascio immaginare la tragedia...
Fine dell'aneddoto.
Quello che sto cercando di  dire è che a me il rosa piaceva e se fosse arrivata una pinkstinker qualsiasi a portarmi via le mie magliette di quel colore o i fermagli per capelli o le scarpe o il costume da principessa o anche i miei giochi più "femminili" sebbene non necessariamente di quel colore (le Barbie, i bambolotti, la mia amatissima cucina giocattolo ecc..) la mia infanzia non sarebbe stata più libera, ma probabilmente solo più triste. Più in generale, trovo piuttosto contradditorio e, lo dirò francamente, sbagliato che un movimento pensato per la libertà delle bambine dagli stereotipi di genere si basi sulla proibizione di alcuni giocattoli solo alle bambine, alle bambine in quanto femmine. Sì, perché il Pinkstinks non condanna il rosa in sé, né i bambolotti o le cucine, le condanna quando vengono usati dalle bambine, mentre invece plaude a quei bambini (maschi) che chiedono in regalo una cucina giocattolo o vogliono vestirsi di rosa. Ma io mi chiedo: il principio che porta a proibire alle bambine in quanto femmine i palloni da calcio, i giochi scientifici, i dinosauri e tutti quei giochi tipicamente considerati da maschio, non è lo stesso che adopera il movimento PinkStinks quando vuole proibire alle bambine di giocare con le bambole, le principesse e tutto ciò che viene considerato da femmine? E non è questo principio, il proibire giocattoli e colori ai bambini in base al loro sesso, che dovrebbe essere combattutto, invece del rosa?
A me sembra che nelle loro campagne a favore dell'infanzia a volte le femministe facciano un errore, anzi, due grandi errori. Il primo errore è il denigrare i giocattoli "da femmina". Ho letto molte volte commenti orgogliosi da parte di donne che si vantavano di aver sempre odiato il rosa, di non aver mai giocato con le bambole ed aver sempre preferito al castello delle principesse, la fortezza dei briganti.
Schemi... Inutili schemi. Le mie figlie giocavano di più con giochi "da maschio".. Ed anche io perché sono più divertenti. E allora?!
Commenti del genere mi lasciano interdetta. Perché anche le femministe, persino loro, che dovrebbero essere per l'uguaglianza, considerano i giocattoli "maschili" (sto scrivendo questi termini tra le virgolette perché io non credo che dovrebbe esserci distizione fra giochi da femmina e giochi da maschi) migliori di quelli "femminili" e si vantano di aver sempre voluto fare giochi da maschio? Forse una bambina che ha sempre amato le bambole e magari non si è mai interessata alle macchinine si deve vergognare? Vale meno di una coetanea che preferisce l'azzurro al rosa? No. Io rispondo fermamente di no. Non facciamo l'errore di considerare le attività "maschili" migliori per partito preso di quelle "femminili" e di indentificare l'emancipazione con la conquista delle donne del "mondo degli uomini", del mondo che per troppo tempo è stato solo degli uomini. Emancipazione è anche questo, ma non è solo questo, la parte più difficile, secondo me, è quella che viene dopo, ossia ridare dignità ai lavori considerati tipicamente "femminili" e combattere perché tutti, uomini e donne, siano liberi di dedicarvisi senza per questo essere considerati inferiori. Ecco la vera emancipazione.
Come scrive Bianca Pitzorno "Saremo veramente liberi, noi terrestri, non tanto quando le donne diventeranno minatori o guidatori di locomotive, ma quando gli uomini si stireranno le camicie, ricameranno, cucineranno e accudiranno con piacere ai propri bambini." In un altro episodio del libro della Pitzorno da cui ho preso la citazione (Extraterrestre alla pari) viene raccontato l'aneddoto di una maestra che, durante l'ora di educazione tecnica, divide la sua classe in bambini e bambine. I bambini devono costruire un castello di cartapesta e le bambine ricamare un quadrato di lana. Una mamma protesta con l'insegnante per questa separazione dei ruoli, poiché sua figlia desidera costruire il castello di cartapesta e la maestra fa questa "concessione" all'allieva. La madre, però, non è soddisfatta e pretende che anche ai maschi venga permesso di ricamare, invece di costruire un castello, se lo desiderano. Perché, come viene spiegato in seguito al protagonista del libro, Mo, la cui storia è ambientata qualche decennio dopo questo aneddoto, lavorare a maglia è creativo e divertente quanto costruire un castello di cartapesta e a nessuno dovrebbe essere impedito. Lo stesso vale per il rosa e per i giocattoli femminili, sono interessanti e divertenti quanto quelli considerati da maschi e a nessuno dovrebbero essere preclusi, tanto meno a causa del loro sesso.
Un secondo errore che spesso noto nelle associazioni femministe che si dedicano al mondo dell'Infanzia è che quasi sempre si occupano solo di bambine, e quasi mai di bambini. L'infanzia dei maschi, però, non è così "libera" come sembra, anzi, per molti versi, a me pare che spesso siano i maschi a risentire di più, durante l'infanzia, degli stereotipi di genere. Perché se è vero che oggi è sempre più naturale l'idea di una bambina attratta da giochi maschili, che li usa e li preferisce a quelli da femmine, l'idea di un maschio che ai Gormiti preferisce il Cicciobello è ancora lontana anni luce. Il bambino che vuole usare giocattoli da femmine spesso è denigrato dagli altri maschi e persino dalle stesse femmine, la sua scelta è osteggiata dai genitori e dagli insegnanti. I maschi non possono vestirsi di rosa, non possono piangere, non possono giocare con i trucchi o indossare travestimenti femminili. Dov'è la libertà, mi chiedo? Perché campagne come PinkStinks non pensano anche a loro e non si battono perché possano essere liberi di fare i giochi che vogliono, di diventare le persone che vogliono? Perché non propongono modelli maschili positivi, sensibili, che qualche volta piangono, che chiedono aiuto, che sono dolci ed amorevoli?
Dobbiamo proprio combattere il rosa per essere femministe? Mi si dirà, il PinkStinks non combatte il rosa in sé, combatte ciò che quel colore rappresenta: la remissività femminile, la dolcezza, l'accoglienza, la maternità forzata, l'angelo del focolare, la mogliettina, la casalinga che si diverte a spazzare la sua dimora e che vive per gli altri, l'annulamento di sé. Va bene, ho capito, questi fardelli pesano ancora sulle spalle delle donne, ed è giusto che vengano combattutti ed è anche vero che in una certa misura il rosa ne sia un simbolo. Però, attenzione, non è combattendo il rosa in sé che ciò che rappresenta sarà eliminato. Esisterà ancora e magari sarà simboleggiato da un altro colore. Per combattere un messaggio sbagliato non dobbiamo annientare il mezzo con cui viene promulgato, perché i mezzi non sono in sé ne positivi, né negativi è quello che comunicano che lo è. Lo stesso discorso si può fare per la televisione, la tv in sé non è "buona" e nemmeno "cattiva", ma è quello che trasmette a veicolare messaggi giusti o sbagliati. Per combattere questi messaggi cosa preferiamo fare: distruggere la televisione ( o spegnerrla, come ci suggeriscono in molti) oppure creare un canale che i cui programmi diano messaggi positivi? Io sono per la seconda opzione, che è più impegnativa, certamente, ma i risultati che può dare sono sicuramente maggiori di quelli che otterremmo esortando il prossimo a buttare il televisore fuori dalla finestra. Lo stesso discorso vale per il rosa, è un colore, un mezzo, con cui per anni, molti, troppi anni sono stati confezionati, e ancora oggi lo sono, tutti quei messaggi diretti alle donne: sposati e sii una moglie sottomessa, fai figli, resta a casa ad accudirli, sii dolce e remissiva, donna al volante pericolo costante, le donne non sono portate per le materie scientifiche, le donne non capiscono niente di politica, torna in cucina, donna! Invece di fare guerra ad un colore perché non ce ne riappropriamo e non lo usiamo per trasmettere messaggi positivi? Messaggi che arrivino anche a quelle bambine come me, come molte, che amano il rosa e non vogliono rinunciarvi? Rendiamo il rosa un colore forte, anzi, rendiamo il rosa un colore e basta, che può piacere o non piacere a maschi e femmine ed è solo un colore in mezzo a tanti altri colori ed i bambini sono liberi di scegliere quello che preferiscono. 
Riassume esattamente quello che penso dell'argomento

 Per l'appunto, quello che penso è che più che combattere la presenza del rosa nella vita delle bambine bisognerebbe introdurre altri colori. Diamo alle bambine la libertà di scegliere, mostriamo che ci sono moltissimi colori oltre al rosa, forse scegliere il verde, forse il giallo oppure continuerà a preferire il rosa, non è un problema, non significa che non sarà una femminista. Pensateci, ha scelto con la propria testa, forse potrebbe già esserlo. ;)















Di seguito due articoli interessanti sul PinkStinks:
http://machedavvero.it/2010/01/pink-stinks-so-i-do-stink/(in italiano)
http://www.dailymail.co.uk/femail/article-1234007/AMANDA-CRAIG-Like-mums-Im-sick-pink-plague-Labour-REALLY-trying-ban-daughters-favourite-colour.html (in inglese)

venerdì 11 ottobre 2013

La storia di Gerda che la Disney non ci racconterà

Metto le mani avanti, io amo la Disney, ci sono cresciuta. Ho visto quasi tutti i film e così tanto da consumare le videocassette. Non sono mancate Biancaneve, Cenerentola e la Bella Addormentata nel Bosco (le capostipiti delle Disney Princess non certo famose per intraprendenza), affiancate da cartoni più moderni: Aladdin, La Sirenetta, Mulan (il primo film che vidi al cinema), Pocahontas, passando per quei film che con le principesse non c'entrano un bel nulla nulla, come Il Re Leone (un po' il boss dei film Disney della mia generazione), Hercules, Lilo & Stitch, Atlantis, La Carica dei 101, Gli Aristogatti, non disdegnando nemmeno le ultime uscite (anzi a questo proposito, avete sicuramente visto tutti Ralph spaccatutto, vero? Vero!?). Avevo il costume di Cenerentola, il gioco per pc delle Follie dell'Imperatore, di Tarzan e della Sirenetta II (uno di quelli che non mi ha mai conquistata, ma si sa che tranne poche eccezioni, i seuqel sono quelli che sono), la cannuccia di Mulan, la bambola di Esmeralda, il pelouche di Flounder e quando l'anno scorso sono passata davanti a Disney Store ed ho visto queste indovinate chi si è portata a casa alla veneranda età di diciotto anni una piccola Pocahontas? Eccomi. Non iniziamo poi a parlare della Pixar perché altrimenti mi metto a recitare tutto A Bug's Life e non ne usciamo più.
Il prossimo film Disney che arriverà nelle sale ed aggiungerà probabilmente una nuova principessa all'elenco si chiamerà Frozen ed è il secondo film Disney ispirato ad una favola di Andersen. La favosa in questione si chiama "La regina di ghiacchio". Ora, chi ha un minimo di dimestichezza con la Disney non si stupirà nel venire a sapere che la trama originale è stata cambiata. La Disney ha quasi sempre preso ispirazione da fiabe, storie o addirittura poemi (come nel caso di Mulan) già esistenti, adattandole a un pubblico di bambini (niente stupro del risveglio per La Bella Addormentata, niente corvi che cavano gli occhi alle sorellastre di Cenerentola, né regina di Biancaneve che muore di sfinimento per avere indossato delle scarpe di metallo rovente), dando a quasi tutti i film un happy ending più o meno zuccheroso (Esmeralda non viene impiccata, Quasimodo viene accettato dal popolo di Parigi e La Sirenetta sposa il suo principe), togliendo diversi dettagli non proprio ortodossi (Hercules diventa figlio di Zeus ed Era e non di Zeus e della mortale Alcmena, per fare un esempio) e in alcuni casi addirittura stravolgendo completamente le storie, dove della trama originale rimane ben poco (come per Rapunzel o per La Principessa e il Ranocchio che dell'omonima fiaba conservano, appunto, solo il titolo). Piaccia o non piaccia, this is Disney. Se devo dire la vertà ci sono dei casi in cui condivido lo stravolgimento della trama, come appunto nel caso di Rapunzel e de "la principessa ed il ranoccio", due fiabe nella versione originale probabilmente non avrebbero fatto una grande figura sul grande schermo nel 2009 e nel 2010, proponendo una trama abbastanza piatta, una caratterizzazione dei personaggi sostanzialmente inesistente e nel caso di Raperonzolo, l'ennesima storia della principessa da salvare. Veniamo adesso a Frozen, anche in questo caso, il racconto da cui prende origine il film è un racconto totalmente diverso dalla rivisitazione disneyiana. In Frozen, infatti (copio la trama pari pari la Wikipedia), quando una profezia intrappola un intero regno in un inverno senza fine, Anna, una temeraria sognatrice, insieme al coraggioso uomo di montagna Kristoff e alla sua renna Sven, intraprende un viaggio epico alla ricerca della sorella Elsa, la Regina delle Nevi, per riuscire a porre fine al glaciale incantesimo. Anna e Kristoff incontreranno sul loro cammino creature fantastiche come i trolls, un buffo pupazzo di neve di nome Olaf, montagne alte come l’Everest e magia dietro ogni angolo. L'improbabile squadra combatterà così contro tutti gli elementi della natura per salvare il regno dalla distruzione. Niente da dire, anzi, mi sembra anche una storia avvincente, ci sono tutti gli ingredienti per farne un film di successo senza cadere nel trito sterotipo della donzella da salvare da cui ormai anche la Disney si sta allontanando. Abbiamo una ragazza temeraria, probabilmente leader del trio, che deve scontrarsi una una perfida sorella e che, possiamo immaginarlo, salverà la situazione e, non è difficile da credere, si innamorerà, corrisposta, di Kristoff, cosa che non mi dispiace neanche troppo, perché non ho nulla contro le storie d'amore e mi piace vederle messe in scena. Non avrei assolutamente nulla da dire su questo film, non prima di vederlo almeno, se non avessi letto la fiaba originale di Adersen, La Regina delle nevi. Una fiaba bellissima. La storia comincia con un antefatto, un giorno il Demonio costruisce uno specchio malefico, che ha il potere di riflettere le cose enfatizzandone la bruttezza e la cattiveria, tutti i diavoli sono particolarmente divertiti dal potere dello specchio e ridono talmente forte che esso si rompe in migliaia di pezzi che si spargono in giro per il mondo. Alcuni di questi pezzi entrano nel cuore degli uomini, rendendoli malvagio ed incapace di vedere il bello ed il buono del mondo. Uno di queste schegge entra anche nel cuore di Kay. Questi è un bambino che abita in una casetta molto vicina a quella dell'amica Gerda, i due "non erano fratelli, ma si volevano bene come se lo fossero stati" e passano le giornate giocando insieme ed ascoltando le fiabe della vecchia nonna. Quando però il cuore di Kay viene colpito dal frammento di specchio, egli comincia a comportarsi in maniera perfida e scontrosa con tutti, tratta male Gerda, scimmiotta la nonna facendo ridere i ragazzini del paese e tutto ciò che un tempo gli sembrava bello e gioioso adesso gli sembra brutto e senza valore. Gerda è molto addolorata per il cambiamento del suo amico, ma il suo dispiacere si moltiplica quando alcuni giorni dopo scopre che Kay è scomparso. Egli, infatti, è stato rapito dalla regina delle Nevi che lo tiene prigioniero nel suo freddo castello. Lì rimarrà, fino a quando riuscirà a comporre con i frammenti di ghiacchio la parola "eternità". Gerda non esita e parte alla ricerca del compagno di giochi, incontrando durante il suo lungo viaggio molti personaggi interessanti e vivendo una serie di peripezie. I personaggi che Gerda incontra sono quasi tutte donne. La prima è una vecchina con qualche rudimento di magia che decide di tenere la bambina con sé, poiché ha sempre desiderato una figliola da accudire, e, con un'incantesimo, le fa dimenticare Kay. Un giorno però Gerda vede una rosa che le ricorda il suo amico, in fretta, abbandona la deliziosa casetta con il suo giardino di piacere e continua la sua ricerca. Viene a sapere di un bambino, la cui descrizione sembra coincidere con quella del dolce Kay, che ha sposato da poco una principessa. Gerda trova quindi la giovane coppia, ma scopre che il novello principe non è il suo amico. Gli sposi, commossi dalla sua storia e dalla sua tenacia, le donano una slitta e dei vestiti nuovi ed il viaggio continua. In seguito Gerda incontra una banda di briganti, o meglio, sono i briganti che incontrano lei e la rapiscono. In un primo momento vogliono ucciderla, ma a salvarla interviene la figlia del Capo dei Briganti, non tanto per bontà d'animo ma perché desidera un'amica con cui trascorrere le giornate. La bambina non è certo una fragile donzella, lo stile di vita dei briganti l'ha temprata, l'ha resa forte e scaltra ( "Tieni il coltello con te anche quando dormi?" chiese Gerda guardandolo un pò impaurita. "Dormo sempre col coltello!" rispose la figlia del brigante. "Non si sa mai quello che può succedere), ma l'essere figlia del Capo l'ha resa anche prepotente e viziata, possiede infatti numerosi animali, che tratta come giocattoli, divertendosi a terrorizzarli e non si fa scrupoli e mordere le orecchie del padre, quando vuole ottenere qualcosa. Nonostante non sia la bambina più simpatica del mondo, la figlia del Capo dei Briganti, si capisce subito, è di cuore buono anche se di carattere ruvido e decide di aiutare Gerda a ritrovare Kay. Bruscamente la libera e le presta la sua Renna, un esemplare molto veloce ed incredibilmente intelligente, tanto da essere in grado di capire e parlare il linguaggio degli umani. Non soddisfatta, le regala anche del cibo ed un paio di guanti e di stivaletti caldi, affinché non geli. La renna di Gerda la porta in Lapponia, da una povera ed intelligente donna, che le indica la strada per la Finlandia, dove troverà una donna che potrà darle l'aiuto di cui a bisogno. Dopo un lungo viaggio a cavallo della renna, Gerda giunge in Finlandia a casa di una donna, esperta di magia e qui abbiamo uno dei dialoghi più significativi della storia 
"Non vuoi dare a questa bambina una bevanda in modo che abbia la forza di dodici uomini e possa vincere la regina della neve?" chiese la renna "La forza di dodici uomini" disse la donna di Finlandia "a cosa servirebbe?"(...)"Ma tu non puoi dare qualcosa alla piccola Gerda, in modo che lei possa avere potere su tutto?" "Io non posso darle una forza più grande di quella che già ha! Non vedi quanto è grande? Non vedi come gli uomini e gli animali la servono, e quanto ha camminato nel mondo con le sue sole gambe? Non deve avere da noi il potere: il potere si trova nel suo cuore perché è una fanciulla dolce e innocente. Se lei stessa non riesce a arrivare dalla regina della neve e a togliere il vetro dal piccolo Kay, noi non possiamo aiutarla!
In questo mondo ghiacciato di streghe, briganti e brigantesse, principi e principesse, regine ed animali di vario genere è proprio Gerda, una  bambina, ad essere secondo la saggia donna di Finlandia, la più forte di tutti. Una bambina che ha camminato nel mondo con le sue sole gambe, fermiamoci a riflettere su questa frase. Non la trovate magnifica ed incredibilmente significativa? La forza di dodici uomini non servirebbe a nulla a Gerda, perché semplicemente non ne ha bisogno, vale molto di meno di quella che già ha: la forza del suo cuore. Questo è Andersen, ricordiamolo bene. Un uomo vissuto nel diciannovesimo secolo scrive chiaramente che una bambina è più forte di dodici uomini. Dopo questo discorso, Gerda sale a cavallo della sua renna e arriva finalmente al castello della regina e lì trova Kay che, come ricorderete, è tutto intento a cercare di comporre con i frammenti di ghiaccio la parola "eternità". E allora...
vide Kay, lo riconobbe, e gli saltò al collo, lo abbracciò stretto e gridò: "Kay! Dolce piccolo Kay! Finalmente ti ho trovato!". Ma lui rimase immobile, rigido e gelido; allora la piccola Gerda pianse calde lacrime, che gli caddero sul petto, gli entrarono nel cuore, sciolsero il grumo di ghiaccio e corrosero il pezzettino di specchio che si trovava dentro; Kay la guardò e lei cantò l'inno:
Le rose crescono nelle valli,
laggiù parleremo con Gesù Bambino!
Allora Kay scoppiò in lacrime; pianse tanto che il granellino di specchio gli uscì dagli occhi, lui riconobbe la fanciulla e esultò di gioia: "Gerda, dolce piccola Gerda! Dove sei stata tutto questo tempo? E dove sono stato io?" e si guardò intorno. "Che freddo fa qui! Com'è tutto vuoto e enorme!" E abbracciò forte Gerda, e lei rise e pianse di gioia, era così bello che persino i pezzi di ghiaccio si misero a danzare di gioia intorno a loro, e quando furono stanchi si fermarono, formando proprio quelle lettere che la regina della neve aveva detto a Kay di comporre. Così finisce la storia de La regina delle nevi, con i due bambini che tornano a casa per mano, con una ragazza che ha salvato il suo amico grazie alla forza del suo animo. Analizzando il racconto più approfonditamente si notano subito delle evidenti metafore con la cristianità, a partire dalla nonna che, quando i due bambini tornano a casa sta leggendo il Vangelo e precisamente il versetto "Se non diventerete come bambini, non entrerete nel Regno dei Cieli". Lo stesso viaggio di Gerda potrebbe essere visto come un viaggio verso la redenzione cristiana (più che la sua stessa, quella di Kay, il personaggio che deve essere salvato) attraverso i simboli del cristianesimo, come il giardino della vecchina che vuole tenere Gerda come una figlia propria, che potrebbe simboleggiare il giardino dell'Eden o forse, probabilmente, l'insieme dei piaceri terreni a cui a un certo punto della vita si deve rinunciare, non perché essi siano malvagi in sé, ma per la necessità, per la crescita dell'individuo, di vedere oltre. Sia come sia, romanzo religioso o semplice bildungroman (romanzo di formazione), Andersen ha voluto metterne al centro una bambina, una giovane donna, è lei che deve affrontare un percorso di crescità interiore e porsi davanti alle avversità per salvare una persona per cui prova un affetto fraterno e che desidera proteggere (qui è una bambina che protegge ed un bambino ad essere protetto). E' lei che viaggia e vede le cose del mondo, fa esperienza, vive avventure, Kay lo vediamo per la maggiorparte della storia confinato in un castello. Inoltre, Gerda salva Kay con il suo affetto, con la sua bontà, è il suo amore per lui, il suo volere che stia bene a fare uscire dagli occhi del bambino il pezzetto di specchio (altra nota importante, Kay è un bambino che evidentemente non si vergogna di piangere, visto che è proprio il pianto il mezzo attraverso il quale il frammento di vetro scivola via), non i suoi calci rotanti e questo, in un epoca dove troppo spesso la violenza sembra davvero l'unica soluzione, sia per i grandi che per i piccoli, mi sembra sempre un bel messaggio. Capisco bene che la Disney avrebbe probabilmente cambiato alcune cose, tagliato alcune parti, aggiunto canzoni musiche, coerentemente con il suo stile, ma mi dispiace molto che si sia lasciata sfuggire l'opportunità di mettere in scena una fiaba dalla trama così bella ed avvincente (Gerda vive molte avventure, il suo viaggio è lungo, i personaggi numerosi, c'è tutto il materiale per farne un lungometraggio accattivante) e così diversa rispetto ai suoi soliti canoni. Spero che un giorno qualcun'altro decida di mettere in scena la fiaba di Andersen in maniera più fedele alla trama e che ne esca un buon risultato che sicuramente sarò felice di guardare.
Post Scriptum. Come si evince da questo post credo fermamente che anche tra le favole vecchie che troppo spesso tendiamo a riassumere con "il cavaliere salva la principessa" ci siano dei veri capolavori (anzi, la maggiorparte delle fiabe sono, secondi me, dei veri capolavori, anche quelle che parlano di principesse da salvare, ricche di simbolismo e di significato nascosti che sfuggono al giovane lettore) che possiamo tranquillamente leggere alle bambine senza temere che da grandi vogliano diventare tutte delle Cenerentole. Nonostante ciò, è bene sapere che ci sono sempre più favole moderne che raccontano di le diverse realtà del mondo in modo gioioso e spensierato e non posso fare a meno di consigliarvi. A questo proposito mi permetto di fare un po' di schietta pubblicità alla casa editrice italiana (un piccolo orgoglio) LOSTAMPATELLO ed al suo catalogo di libri colorati e divertenti che andrebbero lette senza dubbio a tutti i bambini.
Tra una Bella Addormentata e l'altra ;)